La rivista

La rivista

«Poi che mi chiedi il mio parere sull’edizione delle Fughe […] ti dirò che io, e con me le poche persone alle quali ho fatto vedere l’esempl. slegato che m’hai inviato, siamo tutti rimasti semplicemente ammirati. Del resto Solaria stampa sempre bene: si direbbe che il buon gusto italiano, in fatto di stampa, si sia rifugiato nella tua piccola redazione e nella piccola tipografia che serve ai tuoi disegni. Fra 20 o 30 anni le edizioni di Solaria saranno ricercate dai Bibliofili, ed il mio successore (se ne avrò uno, il che è dubbio, anche perché mia figlia non sposerà mai un libraio antiquario) le metterà in vendita a caro prezzo».1 Così Umberto Saba commentava a Carocci il risultato editoriale del suo Preludio e fughe (1928), prezioso tra i preziosi del catalogo salariano. Le Edizioni di Solaria. Una delle avventure più significative per la letteratura italiana del Novecento:2 quarantadue opere in una decina d’anni (tra il 1926 e il 1937), di cui molte di esordienti d’ eccezione. Quali Gadda, Pavese, Vittorini, Quasimodo, Quarantotto, Gambini, Loria. Nella Firenze degli Anni venti Alberto Carocci trova in Carlo Parenti, tipografo di “edizioni per amatori, riviste, dizionari e stampati commerciali” con sede in via Agnolo da Poliziano 3, un socio e un amico disposto a condividere il rischio di una rivista, a un anno dalle inquietanti disposizioni sulla stampa periodica promulgate dal regime. All’inizio non esiste una società formalizzata giuridicamente e il responsabile unico della fucina editoriale è Carocci stesso, che può contare sull’avvocato Mattia Azzurrini come primo socio di fatto. Dal 1928 invece la casa editrice risulta registrata alla Camera di Commercio con la denominazione Edizioni di Solaria. Società in accomandita semplice Carlo Parenti & C. Soci accomandatari sono il tipografo Parenti e il direttore letterario Alberto Carocci; seguono come soci accomodanti (quelli che in caso di fallimento risponderebbero solo della quota sociale), con quote individuali di 3.000 lire, Alessandro Bonsanti; Leo Ferrero, Bonaventura Tecchi, Giacomo Debenedetti e Arturo Loria, cui si aggiungono nel 1930 anche Giansiro Ferrata a Aldo Papasso. Si tratta di una piccola impresa editoriale “d’autore”, a carattere personale e artigianale, orgogliosa di giocarsi la sua identità in opposizione alla grande editoria industriale preoccupata della vendibilità immediata di prodotti letterari d’intrattenimento e di consumo, come Pitigrilli o come Brocchi. Il progetto solariano è orientato alla fondazione di una moderna civiltà letteraria, 1 Lettera del maggio 1928, ora in Lettere a Solaria, a cura di G. Manacorda, Roma, Editori Riuniti, 1979 2 All’attività editoriale solariana sono dedicati i saggi di C.M. Simonetti, Le edizioni di “Solaria” e l’editoria degli anni Trenta, «Cahiers du centre d’étude et de recherche sur la culture italienne contemporaine», 2, 1984, pp.147-165; e Le edizioni di “Solaria”, «Inventario», I-II Quadrimestre, 1986, pp.101-118. sensibile alle sollecitazioni della grande letteratura europea e impegnata nella conoscenza problematica e critica del presente senza chiudersi nei limiti della tradizione, ma mantenendosi comunque immune dalle tentazioni avanguardistiche più estreme. Tutto questo, certo, non senza difficoltà.

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Ad affliggere i soci sono i pressanti problemi economici: anche nei carteggi risaltano insistenti gli accenni all’estrema povertà di mezzi, preoccupante nonostante il sistema degli autofinanziamenti e delle cartoline di sottoscrizione. Il meccanismo delle vendite per abbonamento è semplice: a edizione stabilita l’autore versa a Parenti una cauzione di mille lire, cercando poi di garantirsi con un certo numero di vendite mediante cartoline di prenotazione inviate a probabili acquirenti. Un numero pari a circa duecento prenotazioni assicura la stampa del volume; se ne stabilisce quindi la tiratura, tenendo conto delle copie da destinare alla vendita cosiddetta libera e di quelle riservate “per gli amici”, cioè i sottoscrittori delle cartoline. Per esempio, nella Raccolta di scritti (1928) di Piero Burresi si avverte: «Questa edizione si compone di 400 esemplari numerati dei quali i primi 300 fuori commercio riservati agli amici e 100 destinati alla vendita». O nella Serva amorosa (1929) di Bonsanti: «Questa edizione si compone di 200 esemplari numerati costituenti l’edizione originale, dei quali i primi 20 stampati in doppio Guinea, e numeri da 1 a 5 legati in tutta pelle. Abbiamo stampato inoltre una tiratura fuori serie riservata alla vendita». La tiratura complessiva è in media di 400 esemplari; un numero bassissimo programmato per evitare giacenze di magazzino esorbitanti e passività di capitali (evidentemente però non tutte le opere solariane riscuotono lo stesso successo, se molti titoli risultano ancora disponibile nel 1954 nel catalogo di vendita della Vallecchi). Eccezionale, rispetto a quello standard, la tiratura del Preludio e fughe (1928) sabiano: 700 copie, vendute a 7 lire l’una per 98 pagine. Prima che lo scrittore si rivolgesse agli amici di Firenze, un tipografo triestino gli aveva sottoposto un preventivo di spesa di 250 lire per 50 copie: se Saba avesse accettato quelle condizioni avrebbe dovuto rivendere il volume nella sua libreria antiquaria a 5 lire per pareggiare solo le spese, secondo quanto lui stesso lamenta in una lettera a Carocci. Sappiamo anche che il volume si esaurì in breve tempo e permise un guadagno valutabile intorno alle 2.000 lire. Le questioni economiche, dicevamo, sono motivo costante di preoccupazione per editori e autori. A Carlo Emilio Gadda, che gli chiede che cifra dovrebbe sborsare per veder stampato il suo secondo lavoro, Carocci è costretto a rispondere: «Quali siano le condizioni di Solaria, almeno se non sopraggiunge un premio dell’Accademia, tu lo sai: quindi, purtroppo, non possiamo fare tanto i grandiosi. Appunto a questo proposito, e preoccupandomi della poca convenienza che avresti potuto trovare tu nell’affidare il tuo libro a Solaria, parlavo ultimamente con Bonsanti. Non potresti avere un Editore il quale non solo non ti facesse spendere ma anzi ti pagasse il manoscritto? Tu sei ormai uno scrittore che ha diritto a pretendere condizioni migliori di quelle che la spiantata Solaria non possa offrire.

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Inutile dire che questo discorso ha di mira unicamente il tuo interesse, non quello di Solaria; che per conto mio sarà felice di stampare il tuo libro».3 Ma dopo vari tentativi presso altri editori e nonostante le esitazioni («Per il libro di guerra con Ceschina mi si sconsiglia per via della omonimia con Piero Gadda. Se verrò a Firenze, vorrei provare da Vallecchi. Mi piacerebbe con voi, ma non ho soldi».)4 , il lavoro gaddiano uscirà nel 1934 per i tipi di Solaria con il titolo Il castello di Udine, in una veste editoriale antispreco: «In complesso la stampa è discreta. La coperta è gialla. Hanno ‘goduto’ per me le vecchie risme di carta di 8 anni fa, rimastegli dalla rivista. Ora né la rivista, né i libri escono più in quella carta giallina da libro di ‘bancarella’. Ma sono esaurito e non ho voglia di protestare, regolerò i conti e tirerò un respiro».5 A pubblicazione imminente o avvenuta, agli autori non rimane che riaprire la caccia alle prenotazioni; ed è con invadente giovialità che Gadda si fa promotore ironico di se stesso perorando la sua causa presso un amico: «E’ finalmente uscito il mio secondo libro: Il castello di Udine […]. Se tu puoi e vuoi, prenota una copia (L. 12) e fanne prenotare qualcuna a qualche Mecenate (ti ho mandato le relative cartoline cent. 5), a qualche vecchia signora cieca di 99 anni, promettendole che, se prenoterà il mio libro, salverà l’anima. Esso infatti reca indulgenza plenaria a chi lo prenota e mena buono in modo straordinario. Il destino sarà generoso con chi è generoso col Gaddus: (L. 12)».6 L’esordiente Pavese invece si sente troppo imbarazzato a elemosinare lettori al suo Lavorare stanca (1936): «Il mio amico Ginzburg mi disse che senza sottoscrizione non se ne faceva nulla […]. In questo caso non se ne fa nulla delle poesie; e questo non per falsa modestia od orgoglio, ma semplicemente perché mi spiace andar seccando gli amici e raccogliere l’obolo onde consacrarmi poeta. Vuol dire che tornerà un’occasione un giorno o l’altro. Si aggiunga poi che mi hanno preso certi scrupoli sul valore dei miei versi e vorrei ripensarci».7 Al che Carocci lo rassicura: «Ho voluto parlare con Parenti […] perché mi rincresceva molto rinunciare a pubblicare le Sue poesie. So anche io che il richiedere prenotazioni all’autore è una cosa assai poco simpatica. Non lo avrei voluto fare, e non l’ho fatto che per la necessità in cui si trova Solaria, e la sua assoluta mancanza di mezzi. Ora ho insistito con Parenti, facendogli anche presente che si tratta di un volume molto piccolo e di poca spesa. Ha promesso di darmi una risposta fra qualche giorno. Vuol dire che per trovare prenotazioni ci daremo un po’ d’attorno noi, e non dispero di trovarne».8 Anni dopo, a volume finalmente uscito, Pavese esprime la sua riconoscenza a Carocci, ribadendo la propria timidezza: «Tu che già fosti stampato e tanti giovani autori battezzasti, conosci a fondo le reazioni 3 Lettera del 29 marzo 1932, ora in Lettere a Solaria, cit. 4 Lettera del 24 maggio 1932, ora in Lettere a Solaria, cit. 5 Lettera di Gadda a Silvio Guarnirei dell’8 maggio 1934, ora in A. Cadioli, Letterati editori, Milano, Il Saggiatore, 1995, p.101. 6 Lettera all’amico Ambrogio Gobbi del 5 giugno 1934, ora in A. Cadioli, Letterati editori, cit. 7 Lettera a Carocci del 18 marzo 1934, ora in Lettere a Solaria, cit. psichiche di chi si vede davanti il suo primo libro. Comunque, ecco qua: tranquilla certezza di essere degno del grave onere, raffinata compiacenza dell’ampio frontespizio e delle bianche pagine immense del testo, gratitudine per le medesime, gratitudine per il modico prezzo, gratitudine per tutti e per tutto […].

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E’ una fortuna che io sia lontano, perché sarei stato assolutamente inetto alla pubblicità e, personalmente, non avrei osato chiedere la sottoscrizione nemmeno per una copia. Mentre Monti e mia sorella lo rifileranno anche agli analfabeti»:9 il problema della distribuzione – della rivista e delle opere – era poi un ulteriore ostacolo, difficilissimo da sormontare.10 Le maggiori librerie italiane erano infatti filiazioni dirette dei grandi editori che controllavano il mercato del libro attraverso l’Associazione librai italiani, creazione di Treves, «per le cui forche caudine era pur dovuto passare il povero Gobetti e per le quali ci siamo rassegnati a passare anche noi» – come scrive Mario Gromo a Carocci.11 Le vendite di Solaria e delle sue edizioni passano quindi in un primo momento per Milano, tramite l’Alpes; poi per Firenze attraverso Bemporad, che pubblicizza la collana nel suo catalogo di vendita. Leone Ginzburg, commentando l’offerta di Giulio Einaudi di gestire la pubblicità della rivista fiorentina, è esplicito sulla questione: «Peccato che non possiate combinare anche per la distribuzione dei libri, almeno per ora: sono sicuro che le vostre edizioni, sia pure affidate a Bemporad, rimarranno lo stesso irreperibili a chi non dimostri un’eccezionale buona volontà nel procurarsele. Nessuno mi toglie dal capo che il volume del Quarantotto sarebbe stato il maggior successo librario dell’annata, se avesse avuto una distribuzione come la intendo io».12 A decidere che cosa pubblicare è Carocci, cui si affianca tra il 1929 e il 1930 Ferrata (nel breve periodo di con direzione della rivista) e, negli anni Trenta, Bonsanti. La linea editoriale perseguita si configura omogenea, anche se non univoca: i primi autori pubblicati sono tutti “solariani”; ma lo stretto legame tra rivista e programmi editoriali si riconosce anche in scelte letterarie comuni, come – soprattutto – la valorizzazione della prosa narrativa e l’invito al romanzo (le Edizioni di Solaria non stamperanno libri di poesia dopo il 1931; per questo assume particolare rilevanza la decisione di pubblicare la raccolta di Pavese). Le scelte di poesia sono molto selettive ma quasi tutte straordinarie. Troviamo Narciso (1926) dello stesso Carocci, Caprizi, canzonette e storie (1928) e Liriche e idilli (1931) di Giotti, ma soprattutto Preludio e fughe (1928) di Saba, Lavorare stanca di Pavese e nel 1930 Acque e terre di Quasimodo, presentato al gruppo salariano dal cognato Vittorini. Prende forma infatti una sicura linea narrativa, rappresentata dai testi di Loria, 8 Lettera del 27 marzo 1934, ora in Lettere a Solaria, cit. 9 Lettera del 24 gennaio 1936, ora in Lettere a Solaria, cit. 10 Dalle lettere agli amici emerge che lo stesso Carocci, pur avendo terminato nel 1932 la stesura di un romanzo, non intendeva pubblicarlo presso le edizioni di Solaria per la loro scarsa distribuzione (Un ballo dagli Angrisoni verrà pubblicato da Bompiani solo nel 1979. 11 Lettera a Carocci del 16 ottobre 1926, ora in Lettere a Solaria, cit. Bonsanti, Vittorini, Ferrata, Nannetti, Morovich, Quarantotto Gambini (due dei racconti confluiti ne I nostri simili del 1932 erano stati pubblicati nella rivista per interessamento di Montale, cui Saba aveva parlato dell’ancora sconosciuto amico triestino).

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«Poi che mi chiedi il mio parere sull’edizione delle Fughe […] ti dirò che io, e con me le poche persone alle quali ho fatto vedere l’esempl. slegato che m’hai inviato, siamo tutti rimasti semplicemente ammirati. Del resto Solaria stampa sempre bene: si direbbe che il buon gusto italiano, in fatto di stampa, si sia rifugiato nella tua piccola redazione e nella piccola tipografia che serve ai tuoi disegni. Fra 20 o 30 anni le edizioni di Solaria saranno ricercate dai Bibliofili, ed il mio successore (se ne avrò uno, il che è dubbio, anche perché mia figlia non sposerà mai un libraio antiquario) le metterà in vendita a caro prezzo».1 Così Umberto Saba commentava a Carocci il risultato editoriale del suo Preludio e fughe (1928), prezioso tra i preziosi del catalogo salariano. Le Edizioni di Solaria. Una delle avventure più significative per la letteratura italiana del Novecento:2 quarantadue opere in una decina d’anni (tra il 1926 e il 1937), di cui molte di esordienti d’ eccezione. Quali Gadda, Pavese, Vittorini, Quasimodo, Quarantotto, Gambini, Loria. Nella Firenze degli Anni venti Alberto Carocci trova in Carlo Parenti, tipografo di “edizioni per amatori, riviste, dizionari e stampati commerciali” con sede in via Agnolo da Poliziano 3, un socio e un amico disposto a condividere il rischio di una rivista, a un anno dalle inquietanti disposizioni sulla stampa periodica promulgate dal regime. All’inizio non esiste una società formalizzata giuridicamente e il responsabile unico della fucina editoriale è Carocci stesso, che può contare sull’avvocato Mattia Azzurrini come primo socio di fatto. Dal 1928 invece la casa editrice risulta registrata alla Camera di Commercio con la denominazione Edizioni di Solaria. Società in accomandita semplice Carlo Parenti & C. Soci accomandatari sono il tipografo Parenti e il direttore letterario Alberto Carocci; seguono come soci accomodanti (quelli che in caso di fallimento risponderebbero solo della quota sociale), con quote individuali di 3.000 lire, Alessandro Bonsanti; Leo Ferrero, Bonaventura Tecchi, Giacomo Debenedetti e Arturo Loria, cui si aggiungono nel 1930 anche Giansiro Ferrata a Aldo Papasso. Si tratta di una piccola impresa editoriale “d’autore”, a carattere personale e artigianale, orgogliosa di giocarsi la sua identità in opposizione alla grande editoria industriale preoccupata della vendibilità immediata di prodotti letterari d’intrattenimento e di consumo, come Pitigrilli o come Brocchi. Il progetto solariano è orientato alla fondazione di una moderna civiltà letteraria, 1 Lettera del maggio 1928, ora in Lettere a Solaria, a cura di G. Manacorda, Roma, Editori Riuniti, 1979 2 All’attività editoriale solariana sono dedicati i saggi di C.M. Simonetti, Le edizioni di “Solaria” e l’editoria degli anni Trenta, «Cahiers du centre d’étude et de recherche sur la culture italienne contemporaine», 2, 1984, pp.147-165; e Le edizioni di “Solaria”, «Inventario», I-II Quadrimestre, 1986, pp.101-118. sensibile alle sollecitazioni della grande letteratura europea e impegnata nella conoscenza problematica e critica del presente senza chiudersi nei limiti della tradizione, ma mantenendosi comunque immune dalle tentazioni avanguardistiche più estreme. Tutto questo, certo, non senza difficoltà. Ad affliggere i soci sono i pressanti problemi economici: anche nei carteggi risaltano insistenti gli accenni all’estrema povertà di mezzi, preoccupante nonostante il sistema degli autofinanziamenti e delle cartoline di sottoscrizione. Il meccanismo delle vendite per abbonamento è semplice: a edizione stabilita l’autore versa a Parenti una cauzione di mille lire, cercando poi di garantirsi con un certo numero di vendite mediante cartoline di prenotazione inviate a probabili acquirenti. Un numero pari a circa duecento prenotazioni assicura la stampa del volume; se ne stabilisce quindi la tiratura, tenendo conto delle copie da destinare alla vendita cosiddetta libera e di quelle riservate “per gli amici”, cioè i sottoscrittori delle cartoline. Per esempio, nella Raccolta di scritti (1928) di Piero Burresi si avverte: «Questa edizione si compone di 400 esemplari numerati dei quali i primi 300 fuori commercio riservati agli amici e 100 destinati alla vendita». O nella Serva amorosa (1929) di Bonsanti: «Questa edizione si compone di 200 esemplari numerati costituenti l’edizione originale, dei quali i primi 20 stampati in doppio Guinea, e numeri da 1 a 5 legati in tutta pelle. Abbiamo stampato inoltre una tiratura fuori serie riservata alla vendita». La tiratura complessiva è in media di 400 esemplari; un numero bassissimo programmato per evitare giacenze di magazzino esorbitanti e passività di capitali (evidentemente però non tutte le opere solariane riscuotono lo stesso successo, se molti titoli risultano ancora disponibile nel 1954 nel catalogo di vendita della Vallecchi). Eccezionale, rispetto a quello standard, la tiratura del Preludio e fughe (1928) sabiano: 700 copie, vendute a 7 lire l’una per 98 pagine. Prima che lo scrittore si rivolgesse agli amici di Firenze, un tipografo triestino gli aveva sottoposto un preventivo di spesa di 250 lire per 50 copie: se Saba avesse accettato quelle condizioni avrebbe dovuto rivendere il volume nella sua libreria antiquaria a 5 lire per pareggiare solo le spese, secondo quanto lui stesso lamenta in una lettera a Carocci. Sappiamo anche che il volume si esaurì in breve tempo e permise un guadagno valutabile intorno alle 2.000 lire. Le questioni economiche, dicevamo, sono motivo costante di preoccupazione per editori e autori. A Carlo Emilio Gadda, che gli chiede che cifra dovrebbe sborsare per veder stampato il suo secondo lavoro, Carocci è costretto a rispondere: «Quali siano le condizioni di Solaria, almeno se non sopraggiunge un premio dell’Accademia, tu lo sai: quindi, purtroppo, non possiamo fare tanto i grandiosi. Appunto a questo proposito, e preoccupandomi della poca convenienza che avresti potuto trovare tu nell’affidare il tuo libro a Solaria, parlavo ultimamente con Bonsanti. Non potresti avere un Editore il quale non solo non ti facesse spendere ma anzi ti pagasse il manoscritto? Tu sei ormai uno scrittore che ha diritto a pretendere condizioni migliori di quelle che la spiantata Solaria non possa offrire. Inutile dire che questo discorso ha di mira unicamente il tuo interesse, non quello di Solaria; che per conto mio sarà felice di stampare il tuo libro».3 Ma dopo vari tentativi presso altri editori e nonostante le esitazioni («Per il libro di guerra con Ceschina mi si sconsiglia per via della omonimia con Piero Gadda. Se verrò a Firenze, vorrei provare da Vallecchi. Mi piacerebbe con voi, ma non ho soldi».)4 , il lavoro gaddiano uscirà nel 1934 per i tipi di Solaria con il titolo Il castello di Udine, in una veste editoriale antispreco: «In complesso la stampa è discreta. La coperta è gialla. Hanno ‘goduto’ per me le vecchie risme di carta di 8 anni fa, rimastegli dalla rivista. Ora né la rivista, né i libri escono più in quella carta giallina da libro di ‘bancarella’. Ma sono esaurito e non ho voglia di protestare, regolerò i conti e tirerò un respiro».5 A pubblicazione imminente o avvenuta, agli autori non rimane che riaprire la caccia alle prenotazioni; ed è con invadente giovialità che Gadda si fa promotore ironico di se stesso perorando la sua causa presso un amico: «E’ finalmente uscito il mio secondo libro: Il castello di Udine […]. Se tu puoi e vuoi, prenota una copia (L. 12) e fanne prenotare qualcuna a qualche Mecenate (ti ho mandato le relative cartoline cent. 5), a qualche vecchia signora cieca di 99 anni, promettendole che, se prenoterà il mio libro, salverà l’anima. Esso infatti reca indulgenza plenaria a chi lo prenota e mena buono in modo straordinario. Il destino sarà generoso con chi è generoso col Gaddus: (L. 12)».6 L’esordiente Pavese invece si sente troppo imbarazzato a elemosinare lettori al suo Lavorare stanca (1936): «Il mio amico Ginzburg mi disse che senza sottoscrizione non se ne faceva nulla […]. In questo caso non se ne fa nulla delle poesie; e questo non per falsa modestia od orgoglio, ma semplicemente perché mi spiace andar seccando gli amici e raccogliere l’obolo onde consacrarmi poeta. Vuol dire che tornerà un’occasione un giorno o l’altro. Si aggiunga poi che mi hanno preso certi scrupoli sul valore dei miei versi e vorrei ripensarci».7 Al che Carocci lo rassicura: «Ho voluto parlare con Parenti […] perché mi rincresceva molto rinunciare a pubblicare le Sue poesie. So anche io che il richiedere prenotazioni all’autore è una cosa assai poco simpatica. Non lo avrei voluto fare, e non l’ho fatto che per la necessità in cui si trova Solaria, e la sua assoluta mancanza di mezzi. Ora ho insistito con Parenti, facendogli anche presente che si tratta di un volume molto piccolo e di poca spesa. Ha promesso di darmi una risposta fra qualche giorno. Vuol dire che per trovare prenotazioni ci daremo un po’ d’attorno noi, e non dispero di trovarne».8 Anni dopo, a volume finalmente uscito, Pavese esprime la sua riconoscenza a Carocci, ribadendo la propria timidezza: «Tu che già fosti stampato e tanti giovani autori battezzasti, conosci a fondo le reazioni 3 Lettera del 29 marzo 1932, ora in Lettere a Solaria, cit. 4 Lettera del 24 maggio 1932, ora in Lettere a Solaria, cit. 5 Lettera di Gadda a Silvio Guarnirei dell’8 maggio 1934, ora in A. Cadioli, Letterati editori, Milano, Il Saggiatore, 1995, p.101. 6 Lettera all’amico Ambrogio Gobbi del 5 giugno 1934, ora in A. Cadioli, Letterati editori, cit. 7 Lettera a Carocci del 18 marzo 1934, ora in Lettere a Solaria, cit. psichiche di chi si vede davanti il suo primo libro. Comunque, ecco qua: tranquilla certezza di essere degno del grave onere, raffinata compiacenza dell’ampio frontespizio e delle bianche pagine immense del testo, gratitudine per le medesime, gratitudine per il modico prezzo, gratitudine per tutti e per tutto […]. E’ una fortuna che io sia lontano, perché sarei stato assolutamente inetto alla pubblicità e, personalmente, non avrei osato chiedere la sottoscrizione nemmeno per una copia. Mentre Monti e mia sorella lo rifileranno anche agli analfabeti»:9 il problema della distribuzione – della rivista e delle opere – era poi un ulteriore ostacolo, difficilissimo da sormontare.10 Le maggiori librerie italiane erano infatti filiazioni dirette dei grandi editori che controllavano il mercato del libro attraverso l’Associazione librai italiani, creazione di Treves, «per le cui forche caudine era pur dovuto passare il povero Gobetti e per le quali ci siamo rassegnati a passare anche noi» – come scrive Mario Gromo a Carocci.11 Le vendite di Solaria e delle sue edizioni passano quindi in un primo momento per Milano, tramite l’Alpes; poi per Firenze attraverso Bemporad, che pubblicizza la collana nel suo catalogo di vendita. Leone Ginzburg, commentando l’offerta di Giulio Einaudi di gestire la pubblicità della rivista fiorentina, è esplicito sulla questione: «Peccato che non possiate combinare anche per la distribuzione dei libri, almeno per ora: sono sicuro che le vostre edizioni, sia pure affidate a Bemporad, rimarranno lo stesso irreperibili a chi non dimostri un’eccezionale buona volontà nel procurarsele. Nessuno mi toglie dal capo che il volume del Quarantotto sarebbe stato il maggior successo librario dell’annata, se avesse avuto una distribuzione come la intendo io».12 A decidere che cosa pubblicare è Carocci, cui si affianca tra il 1929 e il 1930 Ferrata (nel breve periodo di con direzione della rivista) e, negli anni Trenta, Bonsanti.

Una recente antologia solariana

Una recente antologia solariana

La linea editoriale perseguita si configura omogenea, anche se non univoca: i primi autori pubblicati sono tutti “solariani”; ma lo stretto legame tra rivista e programmi editoriali si riconosce anche in scelte letterarie comuni, come – soprattutto – la valorizzazione della prosa narrativa e l’invito al romanzo (le Edizioni di Solaria non stamperanno libri di poesia dopo il 1931; per questo assume particolare rilevanza la decisione di pubblicare la raccolta di Pavese). Le scelte di poesia sono molto selettive ma quasi tutte straordinarie. Troviamo Narciso (1926) dello stesso Carocci, Caprizi, canzonette e storie (1928) e Liriche e idilli (1931) di Giotti, ma soprattutto Preludio e fughe (1928) di Saba, Lavorare stanca di Pavese e nel 1930 Acque e terre di Quasimodo, presentato al gruppo salariano dal cognato Vittorini. Prende forma infatti una sicura linea narrativa, rappresentata dai testi di Loria, 8 Lettera del 27 marzo 1934, ora in Lettere a Solaria, cit. 9 Lettera del 24 gennaio 1936, ora in Lettere a Solaria, cit. 10 Dalle lettere agli amici emerge che lo stesso Carocci, pur avendo terminato nel 1932 la stesura di un romanzo, non intendeva pubblicarlo presso le edizioni di Solaria per la loro scarsa distribuzione (Un ballo dagli Angrisoni verrà pubblicato da Bompiani solo nel 1979. 11 Lettera a Carocci del 16 ottobre 1926, ora in Lettere a Solaria, cit. Bonsanti, Vittorini, Ferrata, Nannetti, Morovich, Quarantotto Gambini (due dei racconti confluiti ne I nostri simili del 1932 erano stati pubblicati nella rivista per interessamento di Montale, cui Saba aveva parlato dell’ancora sconosciuto amico triestino). E’ una costellazione in cui spiccano alcuni tra gli autori maggiormente responsabili del rinnovamento della letteratura italiana negli anni Trenta, e alcuni addirittura tra i più significativi del Novecento: Gadda su tutti. E’ stata «Solaria» a trasformare l’ingegnere in scrittore, incoraggiandolo e stimolandolo a dedicare più tempo e impegno all’attività letteraria (per lui a quei tempi ancora secondaria), ospitando cose sue sulla rivista, e soprattutto pubblicando i suoi primi due libri, di racconti e prose varie: La Madonna dei filosofi (1931) e Il Castello di Udine (1934). E anche nel caso di Gadda gli scambi epistolari con l’editore ci fanno assistere al progressivo prender forma delle opere nella loro materialità. Le sue indicazione per La Madonna sono precise: «Bisognerebbe ora rivedere accuratamente le bozze – poiché gli errori sono molti – dal lato tipografico, curando l’ortografia e la punteggiatura. Ti prego perciò di metterti d’accordo con Bonsanti, che si era cortesemente offerto per la revisione e la correzione. Io sono in un periodo tremendo, terremotato. Ti prego di far tralasciare tutte le note degli Studi imperfetti, che ho cancellato a lapis rosso e di far rialzare e mettere bene in centro i titoli nelle pagine-occhiello come Teatro, Cinema, ecc. Essi , infatti, sono un po’ bassi. Ho visto che il carattere è un po’ piccolo, non è proprio elzeviro e neanche Bodoni – ma ormai è fatto. Ti sarei grato di raccomandare a Parenti perché la stampa e l’impaginatura siano accurate. Quanti esemplari si fa? Nel contratto è detto 1.000, dei quali 800 in vendita e servizio stampa, e 200 costituenti l’edizione originale. La novella ultima Notte di luna potrò consegnarla soltanto a metà febbraio, purché voi mi liberiate da ulteriori correzioni di bozze. Essa occuperà non meno di 60 pagine. Se deve esser compresa nel volume, sarà bene non largheggiare troppo in pagine bianche ed occhielli, pur lasciando quelli necessari, cioè un occhiello per ogni novella, uno per tutt’insieme gli Studi imperfetti e uno per tutto il volume. In fondo, poi, vorrei l’indice. Forse ci sarà la dedica del volume: si tratterebbe di una signora. Ti sembra opportuno o no, dato che vi sono espressioni talora un po’ scabrose? La dedica prenderebbe una pagina. De l’aggiunta della novella Notte di luna facesse oltrepassare di qualche pagina le 220 o 216 prefisse, ti prego di tranquillare Parenti – non baderò a un centinaio o due franchi in più, purché il volume venga bene. Mi raccomando che anche la qualità della carta sia la migliore possibile.»13 L’interessamento quasi feticistico di alcuni autori per gli aspetti materiali e paratestuali dell’edizione li spinge spesso a intervenire con istruzioni meticolose relative alla scelta, della carta, dei caratteri, dell’impaginazione, dei colori e delle illustrazioni di coperte e sopraccoperte. Anche considerato che di ogni opera della collana (proprio come per la rivista) è prevista un’edizione 12 Lettera a Carocci del 16 ottobre 1926, ora in Lettere a Solaria, cit. corrente in carta comune e una di lusso in carta speciale. Ecco per esempio Giuseppe Raimondi preoccupato per il suo Cartesiano signor Teste: «La copertina del Titta Rosa non mi pare la più adatta ad un libro come il mio. Anzi, siccome Longanesi s’è divertito a comporre in tipografia un tipo di copertina per il Signor Teste di suo gusto, e di mio gusto, mi permetto di mandargliela, caro Carocci, nella speranza che diventi anche di suo gusto. Egli l’ha composta nella ‘giustezza’ precisa delle edizioni di ‘Solaria’, e quindi non resterebbe che fare un cliché di questa pagina. Carocci, non mi dica di no; non cerchi di persuadermi che le copertine disegnate dal Bramanti sono belle (noti che del Bramanti avevo ammirato delle piccole silografie in ‘Solaria’). Ma le copertine, mi permetto di dire che non sono il suo forte. Scusi, ma preferirei che lei le componesse di soli caratteri tipografici, di quei bodoniani ed elzeviri che mi pare che la sua tipografia possieda. Ho ragione? Se lei è deciso ad usare la carta bianca per la copertina (quella del T. Rosa è buona), la consiglierei a stampare i filetti in azzurro e il resto, cioè titolo, nomi, ecc, in nero. Diventerebbe una copertina molto elegante, e seria. In quanto alla carta del testo, faremo con questa. Per il corpo della composizione, faremo con questo; ma si può mettere un’altra interlinea? Se lei proprio ci tiene a servirsi dell’opera del Bramanti faccia fare il frontespizio, ma sul tipo della copertina che io le invio. Sono certo che lei non vorrà rifiutarmi questa cortesia».14 In realtà Carocci terrà conto solo parzialmente delle note di Raimondi. Utilizzerà un disegno di Longanesi in antiporta. Quanto ai caratteri tipografici, esiste un piccolo mistero. Nella stessa tiratura numerata, si possono osservare due tipi diversi di copertine, con fregi e caratteri differenti. Il carteggio tra Ferrata e Carocci consente poi di ripercorrere l’intera storia di Luisa. La storia del romanzo – uscirà nel 1934 senza ottenere alcun successo – inizia nel 1928, quando l’autore annuncia la consegna alle Edizioni di Solaria di un «capolavorico romanzo»,15 prevista per il novembre dello stesso anno. Cinque anni dopo, a pubblicazione imminente, Carocci è ancora alle prese con gli ultimi problemi, quali l’errore nella stampa del prezzo di copertina e le difficoltà nella riproduzione del lavoro di Carlo Levi per la sovraccoperta (commissionata allo scrittore-medicopittore torinese direttamente dall’amico Giansiro). «Questa Luisa! Tanta gloria ci procurerà, e tanti guai per ora. Ecco le ultime. Nel fare in tipografia la bozza della fascetta (da servire per le sole copie delle librerie) tu hai messo lire 15 invece che lire 12. Così è accaduto che la fascetta è stata stampata, e così pure la copertina, con lire 15. Adesso non c’è che: o lasciare quel prezzo indistintamente per prenotatori e vendita, o buttar via fasce e coperte stampate. Io sarei d’avviso di lasciare il prezzo a lire 15. E questa è una. Ecco la seconda: è arrivata la sopraccoperta di Levi. Assai bella, ma difficilissima a riprodursi. Impossibile fare i clichés a tratto (verde nero o rosa), 13 Lettera del 10 gennaio 1931, ora in Lettere a Solaria, cit. 14 Lettera del 3 gennaio 1928, ora in Lettere a Solaria, cit. 15 Lettera del 9 luglio 1928, ora in Lettere a Solaria, cit. occorrerebbe farli a reticolo, o addirittura con qualche altro sistema di quelli più perfetti, ma costosissimi. Il prezzo non è semplicemente dei tre clichés, ma assai maggiore, trattandosi per lo zincografo di separare i tre colori. Domattina potrei informarmi di quanto va a costare (magari facendo addirittura stampare dallo zincografo). Si potrebbe ricorrere a ciò, ma solo se tu hai la possibilità di aumentare il numero delle prenotazioni. Mentre scrivevo Parenti ha telefonato allo zincografo. Il prezzo dei soli clichés sarebbe lire 150. Ti prego di telegrafare domattina SUBITO: 1° Se mettere lire 15 anche la tiratura vendita o se ristampare ‘a tue spese’ coperte e fasce. 2° Se fare la sopraccoperta per i prenotatori, e in tal caso dovresti fare 10 prenotazioni in più. 3° Se fare la sopraccoperta per tutti, e in tal caso 15 prenotazioni di più.”16 Le direttive di Levi per la realizzazione della sovraccoperta sono dal canto loro chiarissime: “La sopraccopertina va fatta su carta ruvida spessa e forte (come il rovescio della carta da imballo). E’ assolutamente escluso che si possa usare carta lucida e sottile. Particolare cura deve mettersi nel verde che deve avere lo stesso tono di quello del bozzetto e non deve essere più giallo. Naturalmente l’intiera copertina sia di costa sia di dietro deve essere verde ma il verde della facciata deve essere macchiato come nel bozzetto, che si potrà quindi eseguire in verde rosso e nero. La carta della copertina deve essere bianca tinteggiata di verde, non carta verde. La mia segretaria ti potrà confermare che l’esecuzione di questa copertina mi è costata molto tempo e molto studio, ed è per questo che non ho potuto spedirla prima”.17 Tuttavia: “1° Non è possibile stampare come vorrebbe Levi su carta grossa e ruvida. Per fare ciò sarebbe stato necessario stampare in rotocalco, e non con mezzi semplicemente tipografici. Ma ormai la sopraccoperta è dallo zincografo fino da ieri e i clichés sono in corso. A proposito dei clichés, purtroppo alla prova è risultato che non sono affatto facili a fare come si credeva, e non solo costeranno assai di più, circa 250 lire (ti dico questo per curiosità di cronaca, non perché P. voglia altre prenotazioni…!) ma non potranno essere pronti fino a martedì mattina. 2° Staremo attenti che la stampa riproduca quanto più fedelmente i colori originali. 3° Saranno subito spedite le tre copie ‘preferenziali’ senza sopraccoperta. Tutto il resto partirà non appena pronta la sopraccoperta […]. Come vedi non è che non ci occupiamo di te; anzi ci stai dando un lavoro da matti».18 Anche la storia di Lavorare stanca può essere ricostruita con inauspicata precisione. I rapporti con Pavese si inaugurano grazie alla mediazione di Ferrero e Ginzburg, che nel 1932 fanno pervenire a Carocci le prime tre poesie del volume futuro. Due anni dopo Pavese e Carocci entrano in contatto epistolare diretto, innescando un’avventura editoriale lunga e travagliatissima. 16 Lettera del 2 dicembre 1933, ora in Solaria ed oltre. La cultura delle riviste nelle lettere di A. Bonsanti, A. Carocci, Gino Cà Zorzi (G. Noventa), G. Ferrata, R. Ramat, a cura di R. Monti, prefazione di G. Luti, Firenze, Passigli, 1985. 17 Lettera del 18 dicembre 1933, ora in Lettere a Solaria, cit. 18 Lettera di Carocci a Ferrata del 22 dicembre 1933, ora in Solaria e oltre…, cit. Nell’ottobre del 1934 il manoscritto è interamente composto; ma l’invio e la correzione delle bozze impegnano mesi e mesi tra il nervosismo e l’irrequietezza dell’autore, finché nel marzo del 1935 interviene la censura («Sono avvilito. Mi attendevo l’onore della censura politica e quelli me la fanno puritana»). Pavese si adatta a certe eliminazioni, ma – aggiunge – «resta il Dio-Caprone. Qui, niente da fare. Lo considero il mio capolavoro. E ci voleva tutto l’insatirimento di un censore per vedere nel drizzarsi della bestia un simbolo dell’erezione. Ho corretto sulle bozze, ‘hanno peli là sotto in sono bestie là sotto’. Se non fosse che mi stampate gratuitamente e spese ne avete già fatte, direi senz’altro: non si fa più il libro. Così come stiamo, non oso dirlo, ma lo penso».19 Lo scrittore aggiunge ed elimina componimenti; e propone correzioni che smentisce subito dopo: «Caro Carocci, tu che frequenti poeti, saprai che tipi sono. Non dormo di notte al pensiero che ho mutato ‘hanno peli là sotto in sono bestie là sotto’. Per favore, cancella subito le correzioni e rimetti come stava già stampato, coi peli e tutto […]. Al diavolo i censori!»20 Anche da Brancaleone Calabro, dove è stato confinato a partire dal maggio del 1935, non manca di esprimere suggerimenti e speranze per l’uscita del libro: «Ecco, se Dio vuole, le bozze definitive di Lavorare stanca. Ho tenuto conto del Ministero Stampa e cancello, come vedi, il Dio-Caprone (piangendo), Pensieri di Dina, Balletto e Paternità. Così il volume potrà ormai servire da libro di preghiere anche per una vergine […]. Con la solita protervia, non so resistere alla tentazione di accludere altre otto poesie21, frutto di questi ultimi tempi di calma. Se vedi possibile la cosa, falla unire in coda alle altre, vale a dire dopo Una generazione, nell’ordine con cui sono numerate. Ma se ciò potesse ritardare di troppo la comunicazione, usa allora della tua discrezione. Sono, come puoi vedere, tutte poesie assolutamente innocenti, che non mutano per nulla il tono ascetico della raccolta e servono solo a rimpolpare il volumetto troppo smagrito dai tagli richiesti da Prefettura e Ministero […]. Ma in nessun caso non abbiate un’altra volta l’abilità di smarrirmi queste bozze o di menarmele ancora per le lunghe. Pensa che dall’estate del 1934 queste poesie pendono. E che, esclusa la torre di Pisa, sempre tutto quanto pende un giorno può cadere […]. P.S. Ricordati l’indice in testa al volume.»22 Lavorare stanca e L’osteria sul torrente di Morovich (anch’esso del 1936) sono le opere che praticamente chiudono la collana. Benché all’inizio degli anni Trenta si debba far fronte anche all’impressionante e sproporzionato aumento del prezzo della carta, non è solo per motivi economici che l’esperienza editoriale e culturale solariana arriva ad esaurirsi. Il fatto è che dal 1932 il motivo politico s’impone con progressiva urgenza alla consapevolezza di Carocci e amici, fino a 19 Lettera del 11 marzo 1935, ora in Lettere a Solaria, cit. 20 Lettera del 14 marzo 1935, ora in Lettere a Solaria, cit. 21 Si tratta dei componimenti Ulisse, Atavismo, Avvenire, Donne appassionate, Luna d’agosto, Terre bruciate, Poggioreale, Paesaggio VI. 22 Lettera del 16 settembre 1935, ora in Lettere a Solaria, cit. esplodere quando da Torino giungono le notizie dell’arresto e del confino di Ginzburg e Pavese. Nel 1934 Carocci si denuncia ormai convinto che l’antifascismo non può più essere un’istanza soltanto implicita: «In Italia – scrive a Terracini – abbiamo bisogno di una letteratura più impegnata e più sdegnata, dopo tanta Arcadia.» E infine l’epilogo dell’avventura coincide con il sequestro per pornografia della rivista, per gli scritti Le figlie del generale di Terracini e Il garofano rosso di Vittorini, quando il regime fascista inizia a prendere atto della forza morale che i letterati dell’orbita di «Solaria» hanno acquisito. In «Wuz», A. I, n.1 (feb.2002), pp.10-17

E’ una costellazione in cui spiccano alcuni tra gli autori maggiormente responsabili del rinnovamento della letteratura italiana negli anni Trenta, e alcuni addirittura tra i più significativi del Novecento: Gadda su tutti. E’ stata «Solaria» a trasformare l’ingegnere in scrittore, incoraggiandolo e stimolandolo a dedicare più tempo e impegno all’attività letteraria (per lui a quei tempi ancora secondaria), ospitando cose sue sulla rivista, e soprattutto pubblicando i suoi primi due libri, di racconti e prose varie: La Madonna dei filosofi (1931) e Il Castello di Udine (1934). E anche nel caso di Gadda gli scambi epistolari con l’editore ci fanno assistere al progressivo prender forma delle opere nella loro materialità. Le sue indicazione per La Madonna sono precise: «Bisognerebbe ora rivedere accuratamente le bozze – poiché gli errori sono molti – dal lato tipografico, curando l’ortografia e la punteggiatura. Ti prego perciò di metterti d’accordo con Bonsanti, che si era cortesemente offerto per la revisione e la correzione. Io sono in un periodo tremendo, terremotato. Ti prego di far tralasciare tutte le note degli Studi imperfetti, che ho cancellato a lapis rosso e di far rialzare e mettere bene in centro i titoli nelle pagine-occhiello come Teatro, Cinema, ecc. Essi , infatti, sono un po’ bassi. Ho visto che il carattere è un po’ piccolo, non è proprio elzeviro e neanche Bodoni – ma ormai è fatto. Ti sarei grato di raccomandare a Parenti perché la stampa e l’impaginatura siano accurate. Quanti esemplari si fa? Nel contratto è detto 1.000, dei quali 800 in vendita e servizio stampa, e 200 costituenti l’edizione originale. La novella ultima Notte di luna potrò consegnarla soltanto a metà febbraio, purché voi mi liberiate da ulteriori correzioni di bozze. Essa occuperà non meno di 60 pagine. Se deve esser compresa nel volume, sarà bene non largheggiare troppo in pagine bianche ed occhielli, pur lasciando quelli necessari, cioè un occhiello per ogni novella, uno per tutt’insieme gli Studi imperfetti e uno per tutto il volume. In fondo, poi, vorrei l’indice. Forse ci sarà la dedica del volume: si tratterebbe di una signora. Ti sembra opportuno o no, dato che vi sono espressioni talora un po’ scabrose? La dedica prenderebbe una pagina. De l’aggiunta della novella Notte di luna facesse oltrepassare di qualche pagina le 220 o 216 prefisse, ti prego di tranquillare Parenti – non baderò a un centinaio o due franchi in più, purché il volume venga bene. Mi raccomando che anche la qualità della carta sia la migliore possibile.»13 L’interessamento quasi feticistico di alcuni autori per gli aspetti materiali e paratestuali dell’edizione li spinge spesso a intervenire con istruzioni meticolose relative alla scelta, della carta, dei caratteri, dell’impaginazione, dei colori e delle illustrazioni di coperte e sopraccoperte. Anche considerato che di ogni opera della collana (proprio come per la rivista) è prevista un’edizione 12 Lettera a Carocci del 16 ottobre 1926, ora in Lettere a Solaria, cit. corrente in carta comune e una di lusso in carta speciale. Ecco per esempio Giuseppe Raimondi preoccupato per il suo Cartesiano signor Teste: «La copertina del Titta Rosa non mi pare la più adatta ad un libro come il mio. Anzi, siccome Longanesi s’è divertito a comporre in tipografia un tipo di copertina per il Signor Teste di suo gusto, e di mio gusto, mi permetto di mandargliela, caro Carocci, nella speranza che diventi anche di suo gusto. Egli l’ha composta nella ‘giustezza’ precisa delle edizioni di ‘Solaria’, e quindi non resterebbe che fare un cliché di questa pagina. Carocci, non mi dica di no; non cerchi di persuadermi che le copertine disegnate dal Bramanti sono belle (noti che del Bramanti avevo ammirato delle piccole silografie in ‘Solaria’). Ma le copertine, mi permetto di dire che non sono il suo forte. Scusi, ma preferirei che lei le componesse di soli caratteri tipografici, di quei bodoniani ed elzeviri che mi pare che la sua tipografia possieda. Ho ragione? Se lei è deciso ad usare la carta bianca per la copertina (quella del T. Rosa è buona), la consiglierei a stampare i filetti in azzurro e il resto, cioè titolo, nomi, ecc, in nero. Diventerebbe una copertina molto elegante, e seria. In quanto alla carta del testo, faremo con questa. Per il corpo della composizione, faremo con questo; ma si può mettere un’altra interlinea? Se lei proprio ci tiene a servirsi dell’opera del Bramanti faccia fare il frontespizio, ma sul tipo della copertina che io le invio. Sono certo che lei non vorrà rifiutarmi questa cortesia».14 In realtà Carocci terrà conto solo parzialmente delle note di Raimondi. Utilizzerà un disegno di Longanesi in antiporta. Quanto ai caratteri tipografici, esiste un piccolo mistero. Nella stessa tiratura numerata, si possono osservare due tipi diversi di copertine, con fregi e caratteri differenti. Il carteggio tra Ferrata e Carocci consente poi di ripercorrere l’intera storia di Luisa. La storia del romanzo – uscirà nel 1934 senza ottenere alcun successo – inizia nel 1928, quando l’autore annuncia la consegna alle Edizioni di Solaria di un «capolavorico romanzo»,15 prevista per il novembre dello stesso anno. Cinque anni dopo, a pubblicazione imminente, Carocci è ancora alle prese con gli ultimi problemi, quali l’errore nella stampa del prezzo di copertina e le difficoltà nella riproduzione del lavoro di Carlo Levi per la sovraccoperta (commissionata allo scrittore-medicopittore torinese direttamente dall’amico Giansiro). «Questa Luisa! Tanta gloria ci procurerà, e tanti guai per ora. Ecco le ultime. Nel fare in tipografia la bozza della fascetta (da servire per le sole copie delle librerie) tu hai messo lire 15 invece che lire 12. Così è accaduto che la fascetta è stata stampata, e così pure la copertina, con lire 15. Adesso non c’è che: o lasciare quel prezzo indistintamente per prenotatori e vendita, o buttar via fasce e coperte stampate. Io sarei d’avviso di lasciare il prezzo a lire 15. E questa è una. Ecco la seconda: è arrivata la sopraccoperta di Levi. Assai bella, ma difficilissima a riprodursi. Impossibile fare i clichés a tratto (verde nero o rosa), 13 Lettera del 10 gennaio 1931, ora in Lettere a Solaria, cit. 14 Lettera del 3 gennaio 1928, ora in Lettere a Solaria, cit. 15 Lettera del 9 luglio 1928, ora in Lettere a Solaria, cit. occorrerebbe farli a reticolo, o addirittura con qualche altro sistema di quelli più perfetti, ma costosissimi. Il prezzo non è semplicemente dei tre clichés, ma assai maggiore, trattandosi per lo zincografo di separare i tre colori. Domattina potrei informarmi di quanto va a costare (magari facendo addirittura stampare dallo zincografo). Si potrebbe ricorrere a ciò, ma solo se tu hai la possibilità di aumentare il numero delle prenotazioni. Mentre scrivevo Parenti ha telefonato allo zincografo. Il prezzo dei soli clichés sarebbe lire 150. Ti prego di telegrafare domattina SUBITO: 1° Se mettere lire 15 anche la tiratura vendita o se ristampare ‘a tue spese’ coperte e fasce. 2° Se fare la sopraccoperta per i prenotatori, e in tal caso dovresti fare 10 prenotazioni in più. 3° Se fare la sopraccoperta per tutti, e in tal caso 15 prenotazioni di più.”16 Le direttive di Levi per la realizzazione della sovraccoperta sono dal canto loro chiarissime: “La sopraccopertina va fatta su carta ruvida spessa e forte (come il rovescio della carta da imballo). E’ assolutamente escluso che si possa usare carta lucida e sottile. Particolare cura deve mettersi nel verde che deve avere lo stesso tono di quello del bozzetto e non deve essere più giallo. Naturalmente l’intiera copertina sia di costa sia di dietro deve essere verde ma il verde della facciata deve essere macchiato come nel bozzetto, che si potrà quindi eseguire in verde rosso e nero. La carta della copertina deve essere bianca tinteggiata di verde, non carta verde. La mia segretaria ti potrà confermare che l’esecuzione di questa copertina mi è costata molto tempo e molto studio, ed è per questo che non ho potuto spedirla prima”.17 Tuttavia: “1° Non è possibile stampare come vorrebbe Levi su carta grossa e ruvida. Per fare ciò sarebbe stato necessario stampare in rotocalco, e non con mezzi semplicemente tipografici. Ma ormai la sopraccoperta è dallo zincografo fino da ieri e i clichés sono in corso. A proposito dei clichés, purtroppo alla prova è risultato che non sono affatto facili a fare come si credeva, e non solo costeranno assai di più, circa 250 lire (ti dico questo per curiosità di cronaca, non perché P. voglia altre prenotazioni…!) ma non potranno essere pronti fino a martedì mattina. 2° Staremo attenti che la stampa riproduca quanto più fedelmente i colori originali. 3° Saranno subito spedite le tre copie ‘preferenziali’ senza sopraccoperta. Tutto il resto partirà non appena pronta la sopraccoperta […]. Come vedi non è che non ci occupiamo di te; anzi ci stai dando un lavoro da matti».18 Anche la storia di Lavorare stanca può essere ricostruita con inauspicata precisione. I rapporti con Pavese si inaugurano grazie alla mediazione di Ferrero e Ginzburg, che nel 1932 fanno pervenire a Carocci le prime tre poesie del volume futuro. Due anni dopo Pavese e Carocci entrano in contatto epistolare diretto, innescando un’avventura editoriale lunga e travagliatissima. 16 Lettera del 2 dicembre 1933, ora in Solaria ed oltre. La cultura delle riviste nelle lettere di A. Bonsanti, A. Carocci, Gino Cà Zorzi (G. Noventa), G. Ferrata, R. Ramat, a cura di R. Monti, prefazione di G. Luti, Firenze, Passigli, 1985. 17 Lettera del 18 dicembre 1933, ora in Lettere a Solaria, cit. 18 Lettera di Carocci a Ferrata del 22 dicembre 1933, ora in Solaria e oltre…, cit. Nell’ottobre del 1934 il manoscritto è interamente composto; ma l’invio e la correzione delle bozze impegnano mesi e mesi tra il nervosismo e l’irrequietezza dell’autore, finché nel marzo del 1935 interviene la censura («Sono avvilito. Mi attendevo l’onore della censura politica e quelli me la fanno puritana»). Pavese si adatta a certe eliminazioni, ma – aggiunge – «resta il Dio-Caprone. Qui, niente da fare. Lo considero il mio capolavoro. E ci voleva tutto l’insatirimento di un censore per vedere nel drizzarsi della bestia un simbolo dell’erezione. Ho corretto sulle bozze, ‘hanno peli là sotto in sono bestie là sotto’. Se non fosse che mi stampate gratuitamente e spese ne avete già fatte, direi senz’altro: non si fa più il libro. Così come stiamo, non oso dirlo, ma lo penso».19 Lo scrittore aggiunge ed elimina componimenti; e propone correzioni che smentisce subito dopo: «Caro Carocci, tu che frequenti poeti, saprai che tipi sono. Non dormo di notte al pensiero che ho mutato ‘hanno peli là sotto in sono bestie là sotto’. Per favore, cancella subito le correzioni e rimetti come stava già stampato, coi peli e tutto […]. Al diavolo i censori!»20 Anche da Brancaleone Calabro, dove è stato confinato a partire dal maggio del 1935, non manca di esprimere suggerimenti e speranze per l’uscita del libro: «Ecco, se Dio vuole, le bozze definitive di Lavorare stanca. Ho tenuto conto del Ministero Stampa e cancello, come vedi, il Dio-Caprone (piangendo), Pensieri di Dina, Balletto e Paternità. Così il volume potrà ormai servire da libro di preghiere anche per una vergine […]. Con la solita protervia, non so resistere alla tentazione di accludere altre otto poesie21, frutto di questi ultimi tempi di calma. Se vedi possibile la cosa, falla unire in coda alle altre, vale a dire dopo Una generazione, nell’ordine con cui sono numerate. Ma se ciò potesse ritardare di troppo la comunicazione, usa allora della tua discrezione. Sono, come puoi vedere, tutte poesie assolutamente innocenti, che non mutano per nulla il tono ascetico della raccolta e servono solo a rimpolpare il volumetto troppo smagrito dai tagli richiesti da Prefettura e Ministero […]. Ma in nessun caso non abbiate un’altra volta l’abilità di smarrirmi queste bozze o di menarmele ancora per le lunghe. Pensa che dall’estate del 1934 queste poesie pendono. E che, esclusa la torre di Pisa, sempre tutto quanto pende un giorno può cadere […]. P.S. Ricordati l’indice in testa al volume.»22 Lavorare stanca e L’osteria sul torrente di Morovich (anch’esso del 1936) sono le opere che praticamente chiudono la collana. Benché all’inizio degli anni Trenta si debba far fronte anche all’impressionante e sproporzionato aumento del prezzo della carta, non è solo per motivi economici che l’esperienza editoriale e culturale solariana arriva ad esaurirsi. Il fatto è che dal 1932 il motivo politico s’impone con progressiva urgenza alla consapevolezza di Carocci e amici, fino a 19 Lettera del 11 marzo 1935, ora in Lettere a Solaria, cit. 20 Lettera del 14 marzo 1935, ora in Lettere a Solaria, cit. 21 Si tratta dei componimenti Ulisse, Atavismo, Avvenire, Donne appassionate, Luna d’agosto, Terre bruciate, Poggioreale, Paesaggio VI. 22 Lettera del 16 settembre 1935, ora in Lettere a Solaria, cit. esplodere quando da Torino giungono le notizie dell’arresto e del confino di Ginzburg e Pavese. Nel 1934 Carocci si denuncia ormai convinto che l’antifascismo non può più essere un’istanza soltanto implicita: «In Italia – scrive a Terracini – abbiamo bisogno di una letteratura più impegnata e più sdegnata, dopo tanta Arcadia.» E infine l’epilogo dell’avventura coincide con il sequestro per pornografia della rivista, per gli scritti Le figlie del generale di Terracini e Il garofano rosso di Vittorini, quando il regime fascista inizia a prendere atto della forza morale che i letterati dell’orbita di «Solaria» hanno acquisito.

OLIVIA BARBELLI

In «Wuz», A. I, n.1 (feb.2002), pp.10-17